Questo libro è nato come ricerca organica e, se possibile, esauriente sulla lizzatura, l’antico metodo di trasporto dei marmi, e sui lizzatori, coloro che la effettuavano; pertanto abbiamo cercato di analizzarne i molteplici aspetti: tecnica, strumenti di lavoro, caratteristiche peculiari e ci siamo avvalsi di testimonianze, ormai purtroppo poche, di anziani lizzatori e di cavatori che preparavano le “cariche”, il blocco o i blocchi di marmo da far discendere dal monte al poggio di carico.

La parte più interessante è l’analisi dall’animo e dell’indole dei lizzatori, uomini anch’essi con i loro difetti e debolezze ed a questo scopo abbiamo riferito alcuni episodi illuminanti che tratteggiano le caratteristiche degli “omi d’lizza”: lo spirito libero, un pizzico di spavalderia che deriva dalle consapevolezze di avere doti non comuni, la forza fisica, la resistenza, la prontezza nel valutare le situazioni per evitare pericoli ed infine il coraggio, e ce ne voleva, per affrontare viso a viso una carica: l’abilità e l’esperienza contro la forza pesante e distruttrice del marmo. Abbiamo esaminato le caratteristiche delle vie di lizza, poche ancora esistenti nel versante carrarese e lo schema delle ramificazioni diviso per bacini marmiferi, abbiamo riportato le tecniche di costruzione e le differenze, il numero e il nome delle compagnie che lizzavano sui nostri monti, non mancano purtroppo i ricordi di incidenti spesso mortali ed a questo proposito citiamo le cronache del tempo, infine abbiamo descritto ciò che resta nelle poche vie di lizza del territorio carrarese, cercando di dare una breve guida a coloro che avessero la voglia, l’interesse, la curiosità di percorrerle.

Come i lettori possono vedere, si fa spesso ricorso all’uso del dialetto (con a fianco la traduzione) “lingua ufficiale” a quel tempo nelle cave, sia perché dà colore alla narrazione, sia perché alcuni termini sono prettamente locali, in quanto la lizzatura è una peculiarità solo apuana. Il dialetto, purtroppo quasi dimenticato, è non solo espressivo e colorito, ma anche funzionale in quanto ai lizzatori bastava una parola, un ordine secco per capirsi ad agire di conseguenza. 

Vorremmo con la nostra ricerca ricordare i tanti infortunati, le vittime del lavoro, commemorare e conservare un mondo che non c’è più, ma che ha avuto un valore ed una funzione fondamentali nella vita della nostra città. Abbiamo attinto ai ricordi dei testimoni diretti che rammentano con nostalgia, rimpianto ed affetto quel tempo, sia perché era il periodo bello della giovinezza, sia perché li ha formati come uomini e come lavoratori: chi è stato lizzatore conserva, oltre che la postura eretta di chi è abituato a sorreggere pesi, anche l’habitus mentale caratteristico e particolare: l’attaccamento al lavoro, la lealtà, la solidarietà verso gli altri, soprattutto per coloro che ne hanno bisogno. Quello che abbiamo cercato di raccogliere e testimoniare è un patrimonio unico e appartenente solo a Carrara, quindi da salvare dall’oblio che il passare del tempo necessariamente implica.

Il nostro invito a non dimenticare il passato e le consuetudini è soprattutto rivolto ai giovani, perché riflettano che ciò che sono ed hanno oggi è frutto del lavoro, dei sacrifici e della difficile esistenza che le generazioni precedenti hanno affrontato, ed a cui è doveroso tributare attenzione e considerazione.

Ringraziamo per il loro prezioso contributo di ricordi, testimonianze, materiale da consultare Don Cesare Cappè, Ernesto Lucchetti, la signora Andretta Formai, Pietro Salutini, Rolando Baratta, Osvaldo Bartolucci e gli operatori della Biblioteca civica: senza il loro aiuto la nostra ricerca sarebbe stata meno esauriente e precisa.

Le fotografie riportate nel volume appartengono all’archivio privato di Sergio Giorgi e sono inedite.