Cronache di montagna del principio del secolo
Nono volume della collana "Lo Scaffale di Aronte" curata da Enzo Maestripieri
Società Editrice Apuana, (1966) 2021Nuovo
Dalla PRESENTAZIONE
di Enzo Maestripieri
Al declinare della vita, il ligure Bartolomeo Figàri (1881-1965) scrisse il suo secondo libro: Alpinismo senza chiodi - Cronache di montagna del principio del secolo, che uscì nel 1966 un anno dopo la morte; il primo era stato Montagna (1956), già ripubblicato in questa collana. Il titolo non allude a polemiche sull’etica dell’arrampicata, ma rimanda, letteralmente e nostalgicamente, a un’epoca - quella del sottotitolo - in cui appunto non si usavano ancora né chiodi né altre attrezzature diverse dalla corda (peraltro di canapa e legata in vita, e comunque usata assai parcamente). Il secondo libro è migliore del primo: è più unitario, essendo organizzato in un racconto autobiografico e cronologico dell’intera carriera alpinistica di Figari, ed è più personale rispetto a Montagna che, essendo una raccolta di scritti e discorsi vari d’occasione, comprendeva anche molti interventi ufficiali di Figari nella sua veste di Presidente prima sezionale e poi nazionale del Club Alpino Italiano; e del resto la seconda e centrale, in tutti i sensi, delle tre parti di cui si compone il nuovo libro, intitolata La notte dell’8 settembre 1906 alle Aiguilles d’Arves, descrive un episodio cruciale della vita in montagna - e non solo - di Figari: il tragico incidente in cui perse la vita il suo compagno e amico fraterno Emilio Questa, e in cui lo stesso Figari riportò una grave fattura che a lungo andare lo invalidò.
Alpinismo senza chiodi non parla soltanto di Apuane; ma se di Montagna riusciva indigesto leggere certe reboanti allocuzioni d’altro argomento (opportunamente sacrificate dall’editore della ristampa), nel secondo libro è invece piacevole leggere i resoconti delle salite al Cervino, alla Punta Dufour, al Dom, alla Grande Casse, all’Argentera e a tante altre grandi montagne alpine. Per questo motivo, e per il fatto che il libro non è una raccolta di scritti sparsi ma è il frutto di un progetto unitario, a differenza di Montagna esso viene qui ristampato integralmente.
Alpinismo senza chiodi non è del tutto originale, perché riprende, perlopiù riscrivendoli in parte, scritti sia apuani che non apuani già apparsi in Montagna, che a sua volta raccoglieva pezzi già pubblicati in precedenza. Comunque sia, l’insieme del materiale apuano qui raccolto disegna la storia completa dell’avventura alpinistica e umana di Figari in quei monti dal 1898 al primo dopoguerra, restituendone una sorta di curriculum completo e ragionato, dalla prima gita al Pizzo d’Uccello nel maggio 1898, “in una giornata radiosa di sole e d’azzurro”, fino all’ultima descritta nel libro, alle cave di Falcovaia nel gennaio 1915; dopo, ci sarà ancora “qualche corsa nelle Apuane” (non specificata) fino al 1929, quando i postumi dell’incidente del 1906 posero fine alla carriera “montagnina” di Figari.
Da Montagna vengono recuperate per il nuovo libro le salite al Contrario per cresta sud e al Pizzo delle Saette per cresta nord e la traversata della Cresta Garnerone; tra le cose inedite spicca la relazione del primo percorso della Cresta di Sella, e la salita al Torrione Figari per quella che poi sarebbe diventata la via comune; i primi salitori erano passati quattro anni prima per una via più difficile, e in tale occasione avevano battezzato in questo modo quel torrione anonimo tanto vicino alla “punta m. 1525” che già aveva preso il nome di Punta Questa su proposta di Figari: così nelle Alpi Apuane tanto care a Questa e Figari due punte gemelle ricordano da allora la loro profonda amicizia. A proposito di toponomastica, è anche interessante notare che, come si apprende da queste pagine, risalgono a Figari e ai suoi amici i nomi di Denti del Giovo, Guglie di Vinca e Gobbo ben familiari a chi percorre la Cresta Garnerone.
Quanta passione nell’avventura alpinistica di Figari! quante giornate di pioggia, di nebbia e di altre avversità meteorologiche, che tuttavia non impedivano a lui e ai suoi stoici e intrepidi compagni di mettere in qualche modo a frutto quelle preziose giornate di festa tra una settimana di lavoro e l’altra! quanti interminabili trasferimenti in treno, char-à-bancs, vetture e barroccini! quante estenuanti camminate diurne e notturne per giungere ai luoghi di partenza, a ‘rifugi’ (nel migliore dei casi, e comunque incustoditi), a poveri ricoveri di pastori, o anche solo a qualche anfratto all’aperto riparato alla meglio dalle intemperie, e poi per ritornare (spesso fradici d’acqua) a casa! “...alle due siamo svegliati dalla voce di Frisoni giunto allora, come d’accordo, direttamente da Genova ed a lui cediamo per un breve riposo uno dei nostri giacigli”. Due ore dopo suona la sveglia e, nonostante “dense nebbie e nuvoloni” e la burrasca che scoppia poco lontano, i nostri non esitano a salire la Rognosa d’Etiache (siamo nelle Alpi Cozie, a 3382 m); li aspetta poi, come sempre, un lunghissimo ritorno; a casa, come sempre, nella settimana seguente progetteranno per i prossimi giorni festivi (escluso il sabato) la migliore combinazione di orari, tariffe ferroviarie, appuntamenti in loco con colleghi ecc.
Ma tanta passione non impedisce che qua e là, in alcune frasi del libro, si affacci inaspettata una vena di spleen: “un senso di dolce malinconia c’invade al pensiero che questa bella giornata, tanto lungamente ed ansiosamente attesa, sia passata così presto. Ma così è purtroppo di tutte le cose belle e piacevoli di questo mondo!” (pag. 85; frase che risale a un articolo del 1910, quindi scritta da un Figari ventinovenne); “ma anche questa noiosa marcia come tutte le cose di questo mondo giunge alla fine...” (pag. 96). Non si vuole con ciò accreditare a Figari una qualità poetica che non aveva, perché la sua prosa rimane modesta, come si diceva nella Premessa a Montagna; ma tali squarci permettono di vedere meglio nell’intimo di quest’uomo, di cui ancora a proposito di Montagna si notava la propensione all’enfasi e alla magniloquenza. Alla fine, è rivelatrice una frase strana e a prima vista oscura che si legge (pag. 28) nella Nota dell’Autore ad Alpinismo senza chiodi: “...questo lavoro, al quale ho potuto dedicare le lunghe giornate di forzata inerzia, questo tuffo nel passato, mi è stato di grande aiuto per farmi sopportare in serena letizia il monotono trascorrere delle ore della lunga attesa”. Lunga attesa di cosa? non è difficile indovinare.
Enzo Maestripieri
Dicembre 2020
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L'Autore
Bartolomeo Figàri (1881-1965), ligure di Camogli, fu personaggio di rilievo nell’ambito del Club Alpino Italiano, di cui fu Presidente nazionale dal 1947 al 1956: negli anni cioè della rinascita morale dopo l’appiattimento sul regime fascista (sotto la guida dell’arcigerarca Angelo Manaresi) e la catastrofe bellica, e fino alla ‘conquista’ italiana del K2 nel 1954 e oltre. Nella collana "Lo Scaffale di Aronte" si è già ripubblicata una sua raccolta (Montagna), datata 1956, di articoli di montagna che erano già usciti su riviste specializzate e di altri scritti di occasione: necrologi, commemorazioni, conferenze, discorsi. Si ricorda che si deve a Figari l’aggiornamento, per la seconda edizione del 1921, della "Guida delle Alpi Apuane" di Bozano, Questa e Rovereto (1905) già ripubblicata in questa collana.
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