Itinerario per escursioni ed ascensioni alle più alte...
Ristampa anastatica della guida del 1876
Quinto volume della collana "Lo Scaffale di Aronte" curata da Francesco Bosetti e Enzo Maestripieri
Società Editrice Apuana, (1876) 2021Nuovo
PRESENTAZIONE
di Enzo Maestripieri
La guida del pratese Emilio Bertini e del lucchese Ismaele Triglia fu pubblicata nel 1876 sotto gli auspici della Sezione Fiorentina del CAI - di cui Bertini fu socio dal 1875 e Triglia dal 1879 -, che nel ventennio circa tra la sua fondazione (1868) e la salita alla ribalta della Sezione Ligure fu protagonista della prima esplorazione apuana. La guida fu scritta per il 9° Congresso degli Alpinisti, che si svolse nel 1876 appunto a Firenze e Pistoia.
L’Itinerario per escursioni ed ascensioni alle più alte cime delle Alpi Apuane era la seconda guida in volume su quei monti dopo la Guida alle Alpi Apuane di Cesare Zolfanelli e Vincenzo Santini del 1874: che in realtà era una generica guida alla conoscenza di un territorio che, estendendosi dalle Cinque Terre liguri alla Valdinievole pistoiese, nonostante il titolo andava ben oltre le Apuane.
La guida di Bertini e Triglia ha natura diversa e più moderna, configurandosi per la prima volta come una raccolta di vere e proprie escursioni e ascensioni. Quando (pgg. 4-5) gli Autori invitano i futuri compilatori a non riempire le guide di “rettoriche descrizioni, non di troppa storia o di leggende” e auspicano che “la parte scientifica sia secondaria e tanta quanta basti per dare un’idea chiara, intera, succinta del paese”, è ovvio a chi alludessero. Naturalmente la guida del ’76 non ignora quella del ’74, ma non a caso le è debitrice di un solo passo, e cioè della descrizione della gita al Solco d’Equi, che è la sola vera escursione descritta da Zolfanelli e Santini. La guida Bertini-Triglia si compone di 53 paginette in sedicesimo, tratta solo di Alpi Apuane e parla solo di ascensioni alle cime, e anzi alle più alte: di queste mancano all’appello soltanto quelle non ancora salite da alpinisti (come il Cavallo) o considerate secondarie come la Pania Secca, anzi Paniella o Mammellone, vista come appendice della Pania della Croce.
Sarebbe ingeneroso e antistorico far notare quelli che agli occhi d’oggi appaiono difetti della guida, ad es. i molti itinerari poco circostanziati e descritti in modo troppo succinto e pertanto talora incomprensibili (vedi l’Altissimo): ma ciò dipende anche dal fatto che nel frattempo molti toponimi sono mutati - cosa sono, a pg. 39, la Cima delle Piastre Bianche e la Penna Forata (che non è il Monte Forato)?
D’altronde le vie di salita presentate erano all’epoca originali e audaci: per il Pizzo delle Saette - anzi Pania Ricca - si indica quella per le Mura del Turco e cioè da nordovest, anche se è lecito dubitare che gli Autori ne riferissero per esperienza diretta anziché per congettura. Per la salita al Pizzo Maggiore e cioè all’attuale Pisanino qui si consigliano nientemeno che la cresta della Forbice e il versante nord-nordest: vie poi codificate dalla guida ligure del 1905 (pgg. 123-124), ma decisamente notevoli trent’anni prima, quando - a parte i pastori - le poche ascensioni al Pisanino si svolgevano in genere, per la verità su tracciati oggi non del tutto chiari, dai quadranti meridionali, e cioè dai versanti considerati già allora i più facili. A questo proposito si conclude segnalando ai cultori di itinerari apuani rari o dimenticati - dopo 144 anni! - il seguente passo (pg. 20):
“Chi volesse… andare verso l’Orto di Donna dall’Alpe di Pisanino [cioè dai Prati del Pisanino]… pigli verso il sud un viottolino stretto stretto lungo la costa ripidissima ed erbosa detta Poggio Freddo [per la guida del 1905 il Pizzo di Poggio Freddo è la Bagola Bianca]”.
Il “viottolino stretto stretto”” esiste ancora ed è stato di recente ritrovato, e non è senza emozione che si riesce a percorrere quell’esile filo tra i Prati del Pisanino e val Serenaia, e tra noi modesti epigoni d’oggi e i venerandi pionieri di quel tempo remoto.
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Gli Autori
Emilio Bertini (1836-1886), pratese, insegnante al Collegio Cicognini di Prato, sacerdote finché le sue inquietudini civili e risorgimentali non lo indussero a deporre la tonaca, socio e “direttore” della Sezione di Firenze del CAI, nel 1885 fondò la Stazione Alpina di Prato divenuta nel 1895, dopo la sua morte, la Sezione di Prato del CAI, che gli fu intitolata: è quindi a buon diritto considerato il padre dell’escursionismo e dell’alpinismo pratesi. La guida del 1876 fu la sua prima pubblicazione di montagna e restò l’unica di argomento apuano; delle altre, notevoli la Guida della Val di Bisenzio del 1881, lavoro fondamentale e ancora utile sui monti di Prato, e una monografia del 1886 sull’Orrido di Botri, prima e per molto tempo sola opera in materia.
Di Ismaele Triglia si sa solo che era lucchese, sacerdote, che nel 1867 fu nominato “censore di disciplina” al Cicognini, dove fu quindi collega di Bertini, che divenne socio del CAI di Firenze nel 1879 e che nel 1886, per motivi ignoti, non lo era già più. Non se ne conoscono altri scritti.
Quanto della guida è dell’uno e quanto dell’altro? difficile dirlo, visto che quasi nulla si sa di Triglia: per il quale, però, a differenza di Bertini questa pubblicazione rimase salvo errore l’unica. Sul terreno pare che Bertini possedesse maggiore autorevolezza, se il 9 settembre 1875, mentre Triglia e gli altri membri della comitiva rinunciavano per il tempo incerto, Bertini salì da solo il Pizzo d’Uccello da Foce di Giovo, scendendo poi addirittura l’inizio della cresta di Nattapiana (pgg. 22-24); e sembra darne conferma anche il nomignolo scherzoso autoattribuitosi da Bertini in alcuni suoi scritti: Capitan Capretta (mentre Triglia era Compar Farina).
Ecco infine un fulmineo aneddoto che in poche parole scolpisce due caratteri: “Ma Compar Farina, che non prova emozioni poetiche, mi lasciò dire [Bertini stava parlando dell’Ariosto] e andò a trovare l’albergatore per ordinargli il pranzo…” (E. Bertini, In montagna - Ricordi e note di un alpinista, Edizioni Medicea Firenze 2015)
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